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Il comitato nasce a seguito della minaccia di un ritorno al nucleare resa effettiva dalla Legge Sviluppo “ Le grandi riforme per rilanciare l’economia del paese” approvata in Luglio 2009 dal Governo. Il vecchio piano CNEN risalente agli anni 80’ prevedeva un sito nucleare a Legnago in località Torretta, e ad oggi mancando una definitiva localizzazione degli impianti, quel piano ritorna tristemente alla ribalta. Ad aggravare quest’ipotesi dobbiamo anche registrare l’intervento del Presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan che ha manifestato quest’estate la disponibilità ad accoglierne una nella nostra Regione. Il comitato si pone come mezzo di contrasto a questa scelta, nel nostro territorio e in tutto il territorio nazionale ribadendo l’importanza di investire nel risparmio energetico, nell’efficienza energetica e nelle fonti di energia rinnovabile in linea con altri paesi europei

mercoledì 24 marzo 2010

COMUNICATO STAMPA DI LEGAMBIENTE

Rovigo, 23 Marzo 2010 Comunicato Stampa

COMINCIA OGGI IL NUCLEARE ALL’ITALIANA
MA DOBBIAMO PROPRIO METTERLE QUESTE CENTRALI NUCLEARI?
E DOVE? IN POLESINE? A LEGNAGO? A CAVARZERE?
BASTANO LE CARATTERISTICHE NATURALI DEL TERRITORIO?
E LE POPOLAZIONI ESISTONO?
QUALE LA FINE DEL LE ATTIVITA’ ECONOMICHE COLPITE DALLA CENTRALE?
E QUALI I VERI COSTI?

Da oggi i siti delle nuove centrali nucleari verranno scelti non dallo Stato ma dai privati, saranno equiparati ad aree militari e, come tali, segreti. Le regioni non potranno opporsi alla localizzazione degli impianti sul loro territorio
“Ma il tema del ritorno del nucleare – afferma Michele Bertucco, presidente di Legambiente Veneto- anche se il più sentito dai cittadini viene abilmente evitato dai candidati presidenti. Il silenzio pre-elettorale imposto da Berlusconi, però, non ha fatto dimenticare agli elettori lo spauracchio degli otto reattori previsti sul territorio nazionale”.

Legambiente ha posto a tutti i candidati governatori la domanda “ disponibile o contrario ad ospitare una centrale nucleare sul territorio regionale?”. Il risultato è stato quasi plebiscitario, con tutti i candidati contrari. Una domanda sorge spontanea: se il governo non riesce a convincere i suoi candidati, come pensa di convincere i cittadini italiani?

Le ragioni dell’ambiente e delle popolazioni –secondo Legambiente

La regione Veneto è una possibile candidata ad ospitare un impianto nucleare, si dice nella zona compresa tra Adige e Po, a partire dalla Bassa Veronese fino al mare.
Un territorio che non è un deserto
E’ un territorio che ha densità abitativa minore che altrove, ma la popolazione c’è ed è tanta, localizzata in piccoli centri diffusi sul territorio.
Territorio ideale per una centrale nucleare?
Proprio l’intreccio fra fattori naturali e umani ci avverte che non bastano le caratteristiche naturali per designare come idoneo il territorio del Basso Veneto.
Vulnerabilità presenti
Da decenni si avvertono le principali vulnerabilità del territorio: inquinamento delle acque, l’alterazione della struttura dei corsi d’acqua, subsidenza e conseguente erosione degli scanni sabbiosi, avanzamento del cuneo salino, impatto della centrale termoelettrica di Polesine Camerini.
Le nuove vulnerabilità portate dal nucleare
Le centrali che il Ministero delle Attività Produttive prevede, hanno bisogno di 100 mc/secondo di acqua. Una quantità che il Po sarebbe in grado di fornire. Teoricamente.
Queste sono zone a rischio idraulico, cioè zone soggette ad inondazioni periodiche, zone a deflusso difficoltoso, cioè aree di ristagno idrico per mancato drenaggio in quanto terreni poco permeabili, in definitiva, come dichiara il Piano territoriale Provinciale di Rovigo, “zone ad alta vulnerabilità”.
Un territorio che può aspettarsi esondazioni, che è mediamente al di sotto del livello del mare (-2,-4 m.), con i due maggiori fiumi di Italia pensili nel tratto del Polesine non è territorio adatto ad una centrale nucleare nel mondo intero. Ma l’Italia fa parte del mondo?
Occorrerebbero costi aggiuntivi. E allora dove sarebbe la convenienza (predicata già ora senza uno straccio di prova) del nucleare che tanto sbandiera il ministro Scajola?
Ma poi c’è veramente tanta acqua?
Una centrale EDR come quelle immaginate da Ministro Scajola richiedono 100 mc di acqua al secondo.
Il problema è dunque: per garantire l’acqua alla ipotetica centrale nucleare veneta (e quella piemontese, anch’essa ipotizzata, non avrà bisogno della stessa quantità attinta dal Po?) quanta agricoltura dovrà essere privata di acqua?
Per di più l’ 89 % dell’acqua prelevata dal fiume viene asportata da Piemonte e Lombardia e solo l’11 % dall’Emilia-Romagna e Veneto.
Facile capire che l’agricoltura più colpita sarà quella del Polesine e del Delta in particolare.

Ma ancora…
Il cuneo salino, nei periodi di maggiore siccità, si è spinto fino a 25-30 km dalla costa, impedendo l'utilizzo dell'acqua per l'irrigazione in un'area che ha superato i 20 mila ettari.
Di quanti chilometri ancora salirebbe il cuneo se si sommasse alle acque sottratte attualmente, anche il 25-30% (i 100 mc/secondo richiesti da una centrale nucleare EDR) di acqua delle portate di minima?

Se il Po è insufficiente,
potrebbero esserlo nel Basso Veronese o nel Cavarzerano
l’ Adige e ancor di più il Fissero-Tartaro-Canalbianco?

Centrale più centrale uguale agricoltura senz’acqua
Già oggi la centrale di Porto Tolle ha obblighi di dimezzamento della produzione e anche di blocco di essa in presenza di portate minime del Po (380 mc/secondo).
Cosa accadrebbe se oltre la centrale a carbone fosse presente una centrale nucleare?
Questa, a differenza di quella a carbone, non può essere fermata. Dunque? Ne verrebbe penalizzata l’agricoltura del Delta e dell’intero Polesine, che si vedrebbe sottratta acqua proprio nei periodi di maggior bisogno.

Il turismo del Delta sopravviverebbe?
Le presenze turistiche straniere nel 2009 sono aumentate in provincia di Rovigo del 2% (del 5,6% nel Delta, quasi 800mila totali), con una occupazione nel Delta di più di 600 unità lavorative.
La semplice presenza di una centrale nucleare (sommata ad una centrale a carbone), gli effetti sugli scanni, con indebolimento delle strutture dovute allo scarso apporto di solidi, potrebbero portare a una stasi e al deperimento dell’industria del turismo .

La pesca
Il pescato del mare di fronte al delta e la molluschicoltura potrebbero vedere in pericolo il proprio mercato per la modifica del regime delle acque nelle lagune (per i molluschi) e per l’effetto negativo sul marketing. Gli attuali 1838 posti di lavoro potrebbero essere mantenuti?

Perdere 600 posti di lavoro nel turismo più 1800 nella pesca da che cosa sarebbero sostituiti?
Il Sole 24Ore alcuni mesi fa, sponsorizzando la nascita del nucleare in Italia, affermava che le 4-5 centrali porterebbero ben 2000 (duemila!) posti di lavoro. Cioè in tutta Italia meno dei posti di lavoro offerti in Polesine da pesca e turismo.
L’efficienza energetica e le rinnovabili sono capaci di creare almeno 30-50 posti di lavoro contro 1 (uno) nel nucleare. In Italia, al 2020 con la diffusione delle rinnovabili si potrebbero creare dai 150 ai 200mila nuovi posti di lavoro. Senza toglierne ad altri settori come pesca e turismo , che, per il Polesine, rappresentano una economia di qualità.

Il nucleare serve per differenziare le fonti energetiche?
Bisogna essere precisi, per non correre il rischio di fare ordinaria demagogia. Uno studio del Cesi Ricerca del 2008, prevede, con la costruzione di 4 reattori EPR di terza generazione evoluta da 1.600 MW l’uno, che si potrebbe risparmiare, dal 2026 in poi, appena 9 miliardi di metri cubi all’anno di gas naturale, pari al 10% dei consumi attuali e pari al contributo di un rigassificatore di media taglia

Il tempo non è una variabile indipendente
Continuare ad ignorare che produrre energia dall’atomo in Italia non sarà possibile prima del 2025-2030 è mettere la testa sotto la sabbia. La crisi economica e quella energetica hanno bisogno di provvedimenti immediati, che solo l’efficienza e le energie alternative possono dare.

Dicono: L'energia nucleare abbondante. Ma sappiamo di che parliamo?
Oggi essa copre il 6,4% del fabbisogno mondiale di energia, e di uranio fissile, a questo ritmo modesto di impiego, secondo il rapporto Aiea del 2001, ce n'era per 35 anni. Certo, si potrebbe ricorrere all'uranio 238, ben più abbondante in natura: si tratta di un tipo di uranio non fissile, che si può trasformare in plutonio, ingrediente principale per le bombe. Materiale dunque ad alto rischio di proliferazione militare e anche sanitario: un milionesimo di grammo è la dose che può essere letale per inalazione.

Ma allora quanto costa il kilowattora nucleare?
il costo dell'energia prodotta è lievitato, man mano che le popolazioni (e i lavoratori) statunitensi chiedevano standard di protezione sempre più elevati.
Vorremmo ricordare a ministri, politici e Confindustria che tuttora il danno sanitario da radiazioni non ammette soglia al di sotto della quale non c'è rischio: dosi comunque piccole - questa è la valutazione della Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Ionizzanti - possono innescare i processi di mutagenesi che portano al danno somatico (tumori, leucemia) o genetico.
Da qui la lievitazione dei costi per la riduzione di rilasci di radiazioni, si badi, in condizioni di funzionamento di routine, degli impianti. E, a maggior ragione, la questione della sicurezza da incidenti.


La morale della storia:
Per raggiungere l’obiettivo del 25%
di energia dall’atomo previsto dal governo,
l’Italia dovrebbe trasformarsi in un unico cantiere nucleare
per almeno 20 anni

Ci vorrebbero almeno 7 reattori nucleari da 1600 megawatt, poi servirebbero i depositi per le scorie e gli impianti per la fabbricazione del combustibile. In sintesi, l’Italia diverrebbe un unico grande cantiere per almeno 20 anni e si ritroverebbe diffuse sul territorio strutture imponenti e insicure, per realizzare le quali bisognerebbe affossare ogni altra forma di produzione energetica, come le rinnovabili, condannando il paese all’arretratezza e rinunciando a tutte le opportunità occupazionali (250mila posti di lavoro già oggi solo in Germania), tecnologiche e di sostenibilità che le rinnovabili invece garantiscono.
“LE POPOLAZIONI DEL BASSO VERONESE, DEL CAVARZERANO, DEL POLESINE, DEL DELTA DEL PO SE LA SENTONO DI RISCHIARE?” è la domanda finale che pone Michele Bertucco .


Lo studio geografico completo dei territori in cui è considerata probabile l’istallazione di un impianto nucleare è a disposizione di chiunque fosse interessato presso la sede di Legambiente Veneto.

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